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Gli archi

dell'ing. Igor Malgrati

“L’arco non dorme mai”, (proverbio arabo)

“L’arco è una costruzione nata da due debolezze dalla cui
 unione risulta una grande forza”, Leonardo da Vinci

  La letteratura inerente lo studio degli archi è svariata, essendo l’arco una tecnica molto antica e studiata. Ciononostante si reputa interessante fare un discorso generale e sintetico che tocchi gli aspetti strutturali.

Vista l’importanza rivestita nei secoli dall’arco si è sviluppata per esso una nomenclatura specifica. In  un arco si possono infatti individuare:

l’intradosso, la linea di delimitazione inferiore;

l’estradosso, la linea superiore;

la chiave, la parte più alta;

le imposte, le superfici d’appoggio;

le reni, la zona individuata dalla retta che forma con la verticale un angolo di 60°;

i piedritti, i sostegni laterali.

  Le caratteristiche fondamentali dell’arco sono:

freccia e luce ed il loro rapporto, detto ribassamento;

la profondità, esigua rispetto alle dimensioni nel piano dell’arco;

la configurazione geometrica;

la sezione trasversale;

le condizioni di vincolo;

il materiale

  Prima che fossero inventati acciaio e cemento armato per coprire luci orizzontali si potevano utilizzare travi in legno o strutture curve in pietra o mattoni. Le prime però non garantivano luci di grossa portata (lo sviluppo delle prime strutture reticolari che ovviavano a questo problema, le capriate, avviene nelle chiese paleocristiane, quindi solo dopo la nascita di Cristo) e poi con le tecnologie dell’epoca non potevano sopravvivere al tempo e al fuoco. Nasce così l’arco in muratura. 

A lungo si è ignorato il funzionamento statico di esso, scoperto di fatto solo nell’800, quando la scienza delle costruzioni aveva raggiunto la sua maturità.

Dell’arco e delle dimensioni da assegnare per evitare il crollo parlano tutti i trattatisti, da Vitruvio fino all’Alberti, il quale ipotizza la genesi dell’arco a partire da due travi inclinate accostate, tra le quali ne viene posta una orizzontale. (De re aedificatoria)

Leonardo nei Codici di Madrid è il primo a studiare l’arco come struttura: determina il peso di ciascun concio sul piano inclinato che lo sostiene e studia le fratture che si generano e il meccanismo di collasso. De la Hire nel 1684 formula la prima teoria per il calcolo degli archi che tuttavia trascura l’attrito tra i conci. È Coulomb che introduce nel 1776 l’attrito. Nell’800 il dibattito si fa sempre più ricco di interventi, con l’introduzione dei nuovi materiali e di nuovi concetti. Risale al 1840 il metodo di calcolo degli archi in muratura che tutt’oggi si utilizza (metodo di Mery).

La stabilità dell’arco dipende dal poligono delle forze relativo alle forze agenti sull’arco (forze vincolari e forze agenti). Il poligono delle forze, nel caso di forze esterne distribuite è una curva, detta curva delle pressioni. La forma dell’asse dell’arco, per evitare che ci siano delle flessioni, deve essere tale che si approssimi il più possibile a questa curva che nel caso di un arco libero (cioè non inserito in una muratura) è rappresentata dalla catenaria, la curva secondo cui si atteggia una fune soggetta solo al proprio peso (questo secondo il principio di equivalenza espresso da Hooke nel 1675), descritta dalla funzione coseno iperbolico.

 Se un arco è in muratura o in cemento non armato, materiali non resistenti a trazione, le verifiche che occorrono fare sono:

§         Sezione compresse non parzializzate: questo avviene quando la curva delle pressioni è contenuta nella fascia delimitata dalle curve di nocciolo (per sezioni rettangolari di dimensioni a e b distano a/6 e b/6 dal baricentro).

§         Nei giunti (questo non avviene per gli archi in cemento, nel quale non sono presenti i conci) non deve avvenire lo scorrimento, condizione rispettata se l’angolo tra forze di pressione e piano del giunto è inferiore all’angolo di attrito tra i materiali (quindi T < N tanφ);

§         Azione agente inferiore alla resistenza: questo succede sempre a meno che non diminuisca la spinta (quindi aumentano i momenti) per spostamenti relativi delle imposte;

§         Spinta agente sui piedritti inferiore a quella che può essere assorbita. Dalla risoluzione di un’arco a tre cerniere (al quale si approssima l’arco monolitico al collasso) si ottiene che: H=M/f, con M momento massimo di una trave appoggiata con la stessa luce dell’arco. Quindi la spinta aumenta con la freccia e con la luce (M=pl2/8), vale a dire col ribassamento. Perché questa verifica sia effettiva si può:

1.      diminuire la spinta diminuendo il ribassamento (lo si paga allontanando l’asse dell’arco dalla curva delle pressioni);

2.      mettere in prossimità delle imposte una catena di acciaio (prima dell’invenzione dell’acciaio si usava ferro fucinato) che assorba la spinta: perché sia più efficiente conviene che sia pretesa così che lavora subito, senza che debba avvenire un allontanamento reciproco delle imposte;

3.      controbilanciare la spinta con quella generata da un arco contiguo;

4.      far sì che la forza scaricata dall’arco cada sempre all’interno della sezione del piedritto, aumentando il carico sul piedritto o collegandolo ad un contrafforte mediante un arco rampante (espedienti entrambi propri delle cattedrali gotiche);

5.      Utilizzare un piedritto in acciaio o c.a., in modo che possa resistere a flessioni importanti

  Alcuni espedienti che migliorano il comportamento dell’arco sono:

il rinfianco . Si tratta di un peso messo sulle imposte degli archi che permette di ridurre gli effetti flessionali in quella zona, avvicinando la linea d’asse alla curva delle pressioni. Il suo effetto dipende dal livello a cui arriva e dalla forma dell’arco. L’utilità del rinfianco può non essere tale se invece causa l’ulteriore discostarsi dalla curva delle pressioni (può succedere per archi a bassa curvatura) o se non è realizzato con materiale coerente. In questo caso infatti funge da peso morto nei confronti del sisma, incrementando le forze orizzontali sull’arco, non collaborando con esso a resistere;

evitare il più possibile che l’arco cambi la configurazione di equilibrio con la conseguenza che la linea d’asse aumenta l’eccentricità rispetto alla linea delle pressioni, generando così effetti flessionali maggiori. Questo lo si può realizzare:

1.      inserendo l’arco in un muro

2.      realizzando muri di sostegno delle spinta il più possibile stabili

  Un calcolo rigoroso con la risoluzione del sistema iperstatico non serve in quanto la geometria non è bene definita e la struttura poi ha degli adattamenti plastici.

Per il calcolo si sfrutta il succitato metodo di Mery, che studia un arco a tre cerniere prossimo al collasso, nel quale le tre cerniere sono localizzate nei punti di nocciolo delle sezioni:

  1. di chiave;

  2. vicino alle reni, ove tra tutti i possibili archi a tre cerniere ci sia quello a cui corrisponde il massimo valore di spinta, compatibile con una curva delle pressioni sempre interna alle curve di nocciolo.

  La nascita di cemento armato, acciaio e legno lamellare, connessa alla resistenza di questi materiale a flessione determina una maggior flessibilità delle tipologie sviluppabili a partire dalla forma curva dell’arco.

Si delinea un maggior numero di schemi statici:

§         a tre cerniere

§         a due cerniere

§         incastrato agli estremi

§         a spinta eliminata

§         continui

Per questi materiali la verifica della curva delle pressioni non è necessaria per la succitata resistenza a trazione. La risoluzione della struttura, viene effettuata mediante i teoremi della scienza delle costruzioni; l’equazione differenziale che descrive in un piano xz l’equilibrio di un elemento elementare di arco è:

(H+ΔH)d2z/dx2 +d2M/dx2= p + Δp (peso proprio+carico accidentale)

con M=Ne momento e H spinta.

Questa equazione, unitamente alle caratteristiche del materiale, permette di determinare le forze interne.

Oltre alle verifiche proprie di ogni tecnologia (fessurazione, unioni,…) si può a questo punto, note le sollecitazioni, verificare:

§         la resistenza

§         la stabilità: le superiori capacità di questi materiali rispetto alla muratura causa strutture snelle e quindi soggette al pericolo dell’instabilità sia nel proprio piano (si ovvia aumentando l’inerzia) che in quello perpendicolare (oltre che aumentando l’inerzia si ovvia limitando la lunghezza di libera inflessione, mettendo dei ritegni fissi perpendicolari al piano dell’arco, quali sono quelli che scaricano su un sistema di controventatura);

§         la possibilità dei piedritti di assorbire la spinta.

Il fatto che questi materiali resistano molto meglio alle flessioni li rende ideali nei casi in cui le forze accidentali siano variabili, nel tempo e nello spazio. Infatti se non si hanno forze variabili si può studiare la forma dell’arco in funzione dei carichi. Variando i carichi e chiaramente non la forma dell’arco si generano pertanto flessioni. Il problema era comunque meno sentito negli archi in muratura in quanto queste strutture sentono meno l’influenza dei carichi variabili per il fatto di essere massicce (si usa infatti più materiale per la minore resistenza e per questo la variabilità dei carichi accidentali incide in misura trascurabile)